Nella nostra società fallire è un peccato grave. Il fallimento non è considerato uno spunto di crescita e di miglioramento, ma una cicatrice nella propria storia personale, oppure una sciagura da evitare in ogni modo. L’obiettivo è sempre vincere, essere i migliori superando tutti a qualunque costo: i falliti non vincono mai, quindi non contano nulla. La sconfitta è un brivido gelido che percorre tutta la spina dorsale, dal coccige all’atlante; spesso accade dopo tanti sforzi, ma quasi mai a ciel sereno: tutti sappiamo che stiamo fallendo, ma la paura che capiti ci sovrasta talmente tanto che cerchiamo di ignorarne i sintomi, fingendo di essere invincibili. Eppure molte persone hanno fallito nella loro vita, in modi molto diversi, ma comunque simili, considerando gli effetti negativi sull’autostima personale. Continua a leggere…
In qualunque società umana esistono elementi di contrasto tra due o più parti, che possono presentarsi sia tra membri della stessa famiglia, che tra vicini di casa, tra intere comunità o tra culture differenti, e che possono sfociare in episodi di violenza, fisica, verbale o psicologica. Per affrontare questa dinamica sociale, nell’Europa settentrionale, da qualche anno a questa parte, si cerca di utilizzare nuovi metodi alternativi all’intervento della magistratura o delle forze dell’ordine. In Danimarca, Paese in cui studio e vivo, la figura del “mediatore di conflitti” ha assunto un ruolo chiave nel disinnescare questi problemi, diminuendo così le spese pubbliche inerenti ad interventi di polizia e spese legali, sia per conto dello Stato che per gli individui. Continua a leggere…
“La forza senza Giustizia è tirannia. La Giustizia senza forza è inerme. Incapaci di aver fatto forte ciò che è giusto, abbiamo fatto giusto
ciò che è forte.”Blaise Pascal
Dall’avvento della società di massa del diciannovesimo secolo, le aree suburbane hanno funzionato da miniere di capitale umano per le città, le quali necessitano di molto personale che lavori per vari servizi urbani e compagnie private. Una delle spaccature sociali che si sono formate sin dall’inizio di questa riorganizzazione umana è la differenza tra centro e periferia1. Il centro è teatro di sviluppo urbano, nonché dimora dei “padroni”, dei datori di lavoro; la periferia, invece, ospita un’alta densità di popolazione con basso reddito, i cosiddetti “servi”. Questa retorica semantica di “servi” e “padroni”, di “capitale umano” e di “personale” ha contribuito a modellare la percezione generale dell’utilità produttiva di un individuo in rapporto alla sua utilità sociale. Così, in pochi anni, si sono create delle categorie di persone “non idonee” alla società in quanto non abili a mantenere gli standard di questa nuova economia. Continua a leggere…
In una stanza ci sono un prete, un imam e un rabbino. Sembra una barzelletta scadente e invece è l’inizio di una storia bellissima.
Siamo nel 2010, a Berlino, il rabbino Tovia Ben-Chorin, l’imam Kadir Sanci e il pastore protestante Gregor Hohberg si ritrovano intorno a un tavolo, al numero 53 di Friedrichsgracht, in pieno Mitte, il centro storico, per dare vita a un’idea folle, impossibile, ma splendidaContinua a leggere…
Artwork: Papaya – Creative Atelier
Photo: Stefano Barzaghi
L’annuncio l’avevamo già dato in anteprima questa estate ma ora finalmente abbiamo anche l’ufficialità: Conversas è sbarcato anche a Milano!
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Artwork: Papaya – Lettering & Illustration
Di cosa siamo capaci? Di tante cose, diremmo. Sappiamo respirare, scherzare, cucinare, sappiamo fare calcoli! Sappiamo costruire cose, case, palazzi, città, nazioni, regni, imperi. Siamo capaci di scrivere, oppure non siamo capaci di scrivere, o di leggere, o di fare. Non sai fare niente! Non sei capace! Sei un incapace! Ecco, ad accusare siamo certamente molto bravi, ma se in realtà, semplicemente, non fossimo capaci di essere capaci?
Cosa significa, davvero, “essere capaci”? Capace non vuol dire “saper fare”, vuol dire “saper contenere”. La capacità è una dimensione, non un’azione. Continua a leggere…