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I Corridoi Umanitari – Mediterranean Hope

I Corridoi Umanitari – Mediterranean Hope

 

Il crescere dell’immigrazione di massa tra Europa, Africa e Medio Oriente è una chiara emergenza umanitaria che influisce su diverse società e nazioni. Alcuni Stati non riescono a garantire una vita dignitosa alla propria popolazione, parte della quale decide di provare a raggiungere l’Europa per una prospettiva di vita migliore. Centinaia di migliaia di persone fuggono dall’insicurezza economica, personale, politica, sanitaria e alimentare. 

 

Per raggiungere il continente Europeo, in particolare l’Unione Europea, dove le condizioni di vita sono molto migliori rispetto ad altre zone del mondo, alcuni migranti sfidano la morte attraversando il Mediterraneo con imbarcazioni non idonee ad un attraversata di quel tipo, soprattutto per via della scarsa capienza del mezzo per un numero troppo elevato di passeggeri. Questo “viaggio della speranza” ha trasformato il Mediterraneo in un cimitero per decine di migliaia di persone, decedute per annegamento, assideramento, disidratazione ed altre cause di morte violenta. Inoltre, molti migranti non possiedono alcun documento d’identità, risultando essere un problema per la sicurezza dello Stato di accoglienza. Questi flussi di persone rappresentano un enorme rischio per la sicurezza, sia per i migranti stessi sia per la popolazione del Paese ospitante, siccome diverse minacce e paure alimentano la tensione sociale tra i gruppi d’individui.

 

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Principali rotte dei migranti nel mediterraneo – Credit: UNHCR / Mediterranean Hope

 

Un aspetto molto importante, e credo sottovalutato, è l’incremento della violenza culturale, cioè «qualsiasi aspetto di una cultura che può essere usato per legittimare la violenza nella sua forma diretta o strutturale» (Galtung, 1990). La violenza culturale cresce dal momento in cui alcuni gruppi di persone ritengono il fenomeno migratorio un’”invasione” degli stranieri, considerando i migranti e i rifugiati come pericolosi “cavalli di Troia”. Il rischio più grande che deriva da questa forma di violenza è la successiva evoluzione in violenza strutturale, cioè quando le istituzioni dello Stato ignorano o implementano delle particolari politiche che impediscono alle persone migranti di avere gli stessi diritti dei cittadini dello Stato ospitante, in quanto esseri umani (Galtung, 1990).

 

Questo “viaggio della speranza” ha trasformato il Mediterraneo in un cimitero per decine di migliaia di persone, decedute per annegamento, assideramento, disidratazione ed altre cause di morte violenta.

Individuati i rischi più grandi di questo fenomeno sociale, diversi enti pubblici e privati hanno cercato di sviluppare dei metodi alternativi a quelli odierni per contenere ed arginare il problema. Uno su tutti è Mediterranean Hope, un progetto della Federazione Chiese Evangeliche in Italia, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero degli Interni, la Tavola Valdese e la Comunità di Sant’Egidio. Questo progetto pilota ha l’obiettivo di aiutare in un biennio 1.000 rifugiati a raggiungere l’Italia, con l’intento di ridurre i “viaggi della speranza”, contrastando quindi il business della criminalità organizzata, di garantire assistenza prioritaria a persone in condizioni precarie (come le vittime di persecuzioni e torture), di agevolare l‘ingresso in Italia tramite un dialogo con le autorità statali e di introdurre i beneficiari dell’iniziativa alla cultura italiana, promuovendo conoscenze di lingua, valori e tradizioni.

 

L’ONG ha dei collaboratori in alcuni dei Paesi di partenza dei flussi, i quali redigono delle relazioni in cui elencano i potenziali beneficiari del progetto. Ogni relazione è verificata dall’associazione, e in seguito dalle autorità italiane; la lista dei potenziali beneficiari è poi trasmessa alle autorità consolari dei Paesi rilevanti di modo da poter avere il benestare dell’assenza di minacce o di rischio per il Paese ricevente. I corridoi umanitari di Mediterranean Hope sono finanziati interamente dall’8 per 1000 per la Chiesa Valdese e da altre donazioni, per esempio provenienti dalla Comunità di Sant’Egidio; in alcun modo lo Stato italiano si fa carico delle spese del progetto.

 

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Provenienza dei migranti in arrivo in Italia – Credit: UNHCR

 

Per capire meglio l’utilità di Mediterranean Hope è necessario analizzare sulla scala globale la provenienza dei migranti e dei rifugiati. Com’è chiaro dal grafico (UNHCR, 2015) soprastante, nel 2015, i Paesi dai quali inizia il flusso migratorio sono eterogenei. Il flusso passa sia per la Grecia che per la Spagna, partendo in gran parte dalla Siria, mentre in Italia solo il 4.8% del flusso è composto da cittadini Siriani. Un altro dato interessante è inerente al gruppo “other” (“altri”): se nel 2015 i migranti approdati in Italia appartenenti a questo sottogruppo sono stati 70.000, nello stesso periodo, appena 8.000 di questi hanno raggiunto la Spagna. Questi dati mostrano le differenze inerenti alla nazionalità dei migranti, innescando la necessità di affrontare questa crisi sociale tramite una visione internazionale, ricercando le ragioni per le quali queste persone lasciano la loro casa e la loro famiglia.

 

I corridoi umanitari di Mediterranean Hope garantiscono un nuovo ed unico metodo per affrontare questa crisi globale per diversi motivi. La modalità di raggiungimento dell’Europa – nel caso del progetto, dell’Italia – garantiscono un abbassamento notevole del rischio di morte durante il viaggio; inoltre, tutte le persone selezionate per beneficiare del progetto sono munite di documenti validi e verificati dalle autorità, riducendo il rischio per il Paese ospitante di ricevere cittadini stranieri sconosciuti al sistema di identificazione nazionale. Per quanto riguarda l’inserimento nella società, i beneficiari sono introdotti alla lingua italiana, al sistema scolastico e al mondo del lavoro: l’associazione ha l’obiettivo di rendere le persone accolte autonome ed indipendenti. Inoltre, questo approccio può essere adottato come una procedura standard da qualsiasi altro Stato dell’Unione Europea, o addirittura dall’Unione stessa, garantendo un processo di selezione in loco nei Paesi di partenza, migliorando le condizioni di sicurezza sociale sia per i beneficiari che per gli Stati di arrivo.

 

Bibliografia:

Galtung, Johan (1990). “Cultural Violence”, Journal of Peace Research 27(3), 291-305. doi:10.1177/0022343390027003005

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Simone

Written by Simone

Sono appassionato di diritti digitali e privacy, società civile e storia. Studio Human Security presso l’Università di Århus, in Danimarca, della quale apprezzo la cultura e il modo di vivere.
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