Il Valore di Fallire

Il Valore di Fallire

 

Nella nostra società fallire è un peccato grave. Il fallimento non è considerato uno spunto di crescita e di miglioramento, ma una cicatrice nella propria storia personale, oppure una sciagura da evitare in ogni modo. L’obiettivo è sempre vincere, essere i migliori superando tutti a qualunque costo: i falliti non vincono mai, quindi non contano nulla. La sconfitta è un brivido gelido che percorre tutta la spina dorsale, dal coccige all’atlante; spesso accade dopo tanti sforzi, ma quasi mai a ciel sereno: tutti sappiamo che stiamo fallendo, ma la paura che capiti ci sovrasta talmente tanto che cerchiamo di ignorarne i sintomi, fingendo di essere invincibili. Eppure molte persone hanno fallito nella loro vita, in modi molto diversi, ma comunque simili, considerando gli effetti negativi sull’autostima personale. 

 

Tutti sappiamo che stiamo fallendo, ma la paura che capiti ci sovrasta talmente tanto che cerchiamo di ignorarne i sintomi, fingendo di essere invincibili.

 

Che cosa porta le persone a considerare il fallimento come un fatto negativo? Sicuramente, a mio avviso, l’istruzione ha un ruolo decisivo: i voti o i giudizi a scuola (dalle elementari alle superiori) introducono i bambini e i ragazzi a una valutazione personale sulla prestazione della “verifica”, essendo associati a un voto da 1 a 10 sulla conoscenza di una parte di programma. In questo modo gli studenti diventano “cacciatori del 6”, in cui la sufficienza è l’obiettivo primario, superiore all’effettiva comprensione dei contenuti.

 

Questo metodo di valutazione costruisce un piccolo sistema sociale (la classe) basato sul raggiungimento di un obiettivo numerico e qualitativo, proprio mentre è in corso la formazione della persona che diventerà adulta negli anni a seguire. La conseguenza è che gli adulti di domani svilupperanno un comportamento competitivo anziché cooperativo, perché “arrivare alla soglia del 6”, cioè non entrare a far parte dell’insieme di individui “insufficienti” (i falliti), è uno sforzo completamente incentrato sull’individualità e sulla performance singolare.

 

A sostegno di questa tesi si possono osservare dei comportamenti classici degli studenti, come usare smartphones, copiare altri elaborati, delegare compiti a familiari o ad altri studenti (alcune volte a pagamento), che esaltano la necessità di ottenere un certo risultato, e non di comprendere veramente i contenuti; inoltre, tutti gli sforzi incentrati a raggiungere un risultato sono concentrati sulla persona, e non sul gruppo. In aggiunta, spesso i genitori proteggono i figli come delle reliquie, aprendogli la strada contro qualsiasi avversità, non considerando il fallimento come una possibilità di comprendere meglio se stessi.

 

Esperimento di Robbers Cave Park - Credit: ahp.apps01.yorku.ca/

I ragazzi di Robbers Cave Park – Credit: ahp.apps01.yorku.ca

Nel 1961 uno psicologo turco naturalizzato americano, Muzafer Sherif, ha ipotizzato una teoria del conflitto che analizza in che modo gli individui competono per una scarsità di risorse reale o percepita, come il denaro, il potere o lo status sociale. Per trovare un riscontro pratico a questa teoria, Sherif ha organizzato un esperimento di psicologia sociale in Oklahoma, osservando i comportamenti di 22 soggetti tra gli 11 e i 12 anni. I ragazzi sono da subito divisi in due gruppi differenti, senza che l’uno sapesse dell’esistenza dell’altro. Una volta formate le squadre, sono organizzati dei giochi competitivi a premio che hanno portato allo sviluppo di comportamenti ostili tra gli individui dei due gruppi. Successivamente, vengono introdotte delle nuove attività di cooperazione, in cui i due gruppi si sono divisi i compiti, riducendo visibilmente la frizione sociale.

 

Quando due gruppi competono per un premio, i comportamenti diventano ostili; quando invece collaborano per un premio comune, si promuovono atteggiamenti di coesione e di unità.

 

Sherif giunge quindi a diverse conclusioni: quando due gruppi competono per un premio, i comportamenti diventano ostili; quando invece collaborano per un premio comune, si promuovono atteggiamenti di coesione e di unità. Da questo studio si può dedurre che più gruppi in competizione per una certa risorsa aumentano la tensione sociale soltanto se i gruppi stessi percepiscono la scarsità della risorsa; quando invece la risorsa è percepita come il bene comune da raggiungere, i gruppi collaborano.

 

Che rilevanza ha questo studio con il valore di fallire? Nella nostra società di oggi il fallimento è un evento individuale, mai collettivo. Perdere in squadra è sempre molto più facile che perdere singolarmente, ma la vittoria di squadra distribuisce un premio a più persone, anziché a un singolo. L’individualismo è un valore molto forte nel mondo Occidentale, dove la produzione, l’eccellenza e la ricchezza sono obiettivi primari per l’ampia maggioranza delle persone e dei gruppi.

 

Fallimento e collaborazione

 

Al contrario, ritengo che sia necessario mettere in discussione la percezione negativa del fallimento: che cos’ha di positivo perdere? Il fallimento, come evento nefasto, insegna a essere umili e a rapportarsi con chi ha perso qualcosa. Aiuta a entrare nell’età adulta, quel lungo periodo della vita in cui non si è valutati a voti o giudizi, ma dalle relazioni con le altre persone e dalle esperienze; inoltre il fallimento aiuta a crescere con delle prospettive ampie, considerando anche dei piani alternativi qualora si fallisse il raggiungimento di un obiettivo.

 

L’individualismo funziona in una società che fatica a distinguere un’opinione da un dato di fatto, e che non considera che una brutta sconfitta sia un’esperienza tanto d’impatto quanto una grande vittoria. La cultura del campione crea una società competitiva, dove la tecnica è più importante dell’empatia, dimenticando che la tecnica stessa sia figlia della necessità di costruire una migliore empatia tra individui.

 

Non considera che una brutta sconfitta sia un’esperienza tanto d’impatto quanto una grande vittoria.

 

Ancora una volta, come spesso accade di leggere su questo blog, sono la razionalità e la consapevolezza che aiuterebbero a trovare il giusto equilibrio. È necessario capire che il fallimento non è un baratro da cui non si può uscire, ma un evento naturale della vita di qualsiasi persona. Sicuramente può assumere diverse forme, spesso non catalogabili e casuali. È quindi l’approccio al valore di fallire che deve essere diverso, venendo arricchito dall’importanza di non essere il migliore, ma di avere davanti una lunga e difficile salita che può essere percorsa in squadra con altre persone.

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Simone

Written by Simone

Sono appassionato di diritti digitali e privacy, società civile e storia. Studio Human Security presso l’Università di Århus, in Danimarca, della quale apprezzo la cultura e il modo di vivere.
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